Animazione socio-culturale e globalizzazione

Gli aspetti socio-culturali legati alla globalizzazione. Aree prioritarie di intervento, strategie e nuovi soggetti di cambiamento nella prospettiva dell’animazione socio-culturale. Animazione e comunicazione. La prospettiva europea.

1. Interrogativi da cui partire
2. La “situazione” odierna: la globalizzazione e i suoi aspetti socio-culturali
3. Problemi di scala e di individuazione dei nuovi soggetti di cambiamento: per un’animazione socio-culturale che affermi e pratichi un prospettiva europea
4. Aree prioritarie di intervento e strategie: formazione e comunicazione in prospettiva europea
5. Una formazione per il giovane europeo del XXI secolo
Tabella: Priorità per un progetto di formazione dei giovani all’Europa
6. Immaginario, animazione e comunicazione
Scheda: L’Animazione Ambientale come training emozionale
7. In conclusione…

1 Interrogativi da cui partire


E’ opportuno domandarsi se esista ancora spazio per l’animazione, o se questa, nata e sviluppatasi in una situazione datata – in cui sembrava imminente che l’immaginazione andasse al potere – sia definitivamente tramontata. In più trovo giusto rimettere a tema del mondo dell’animazione concetti fondanti questa pratica sociale, come hanno fatto gli organizzatori di queste giornate, anche per un’altra ragione.

Oggi si rileva l’assenza di uno “spazio pubblico”, una “piazza” del dove gli abitanti delle varie “contrade” di questo variegato “villaggio dell’animazione” possano incontrarsi, scambiarsi esperienze e discutere, creando un’opinione comune. La mancanza di un luogo dove incontrarsi e rendere possibile il confronto in profondità si riflette nel fatto che, oggi, fra gli animatori si usano stessi termini concettuali, ma in realtà intendendo cose diverse. L’esistenza di questo equivoco linguistico sui concetti dell’animazione tende a rendere insoddisfacente ogni incontro; così le varie “anime dell’animazione” si autoconfinano in frammenti sempre più specializzati, omogenei ma separati e non comunicanti. Tanto meno nasce, ovviamente, un pensiero comune condiviso.

Quindi, purtroppo, siamo forse in una fase ancora preliminare a quella dell’aggregazione “politica” e organizzativa di un “movimento degli animatori”; ma facciamo tesoro di questo ritrovarci ponendoci assieme quelli che riteniamo essere gli interrogativi di fondo per l’animazione socio-culturale di oggi.

Dal mio punto di vista tali interrogativi sono i seguenti: gli animatori sono disponibili a ripensare un’identità politica, di movimento, ecc. uscendo dal ghetto della gestione dell’assistenziale, del riparativo, ovvero da quella “riserva indiana” che comunque – anche in futuro – il potere dovrà necessariamente tenere in piedi e garantire, non fosse altro che per evitare livelli esplosivi di conflittualità sociale?

E, nella situazione attuale – in un contesto di globalizzazione, – cosa vuol dire per l’animazione essere oggi socio-culturale e non solo socio-educativa?

Inoltre, una volta accettata la scommessa di adeguare al nuovo contesto le forme della modalità di intervento, mantenendo comunque fede alla propria identità, su quali alleanze si deve contare per attuare proposte realmente incisive?

2 La “situazione” odierna: la globalizzazione e i suoi aspetti socio-culturali


Il richiamo di don Aldo Ellena a “vivere la situazione” oggi assume un senso molto ampio; cioè comporta la nostra responsabilità di agire per riorientare l’Occidente in quanto soggetto trainante della globalizzazione.

Assistiamo oggi ad una nuova dimensione e unificazione dei mercati e della produzione su scala oramai mondiale, ovvero alla c.d. globalizzazione dell’economia e, in una certa misura, della politica. In tale processo i poteri che contano sono diventati sovranazionali e si delineano nuovi luoghi di decisione (Banca Mondiale, FMI, G 8, WTO, ecc.) che scalzano la sovranità dei governi nazionali. Il rischio che ne consegue è quello dell’assolutizzazione dell’economia che, prescindendo da ogni riferimento a valori, rendere i bisogni sociali subalterni al mercato. In tale contesto, anche le ricadute del processo di innovazione, derivanti dalla sistematica adozione delle nuove tecnologie dell’informazione, si esauriscono negli incessanti miglioramenti tecnologici e nella crescita dei fatturati, prescindendo da ogni prospettiva etica e dagli aspetti sociali.

La globalizzazione arriva nella vita di ogni giorno in forme varie e per percorsi diversi. Per essere concorrenziali nel mercato globale, si cerca sistematicamente di ridurre il costo del lavoro e dell’intervento pubblico; ciò, tra l’altro,. produce contraccolpi negativi sui nuclei familiari, dove i genitori, essendo ambedue impegnati nella produzione del reddito, diventano per i figli figure di riferimento sempre più evanescenti. Nello stesso tempo le famiglie non possono più contare su un qualificato e diffuso intervento di servizi educativi pubblici (scuola, enti locali). Così playstation e televisione si sostituiscono ai genitori. In più i mezzi di comunicazione sociale, malgrado la loro cresciuta rilevanza, finora non sono stati capaci di assumersi un ruolo educativo adeguato ai nostri tempi, come si deduce dalla cronica povertà di idee e di esperienze significative a livello di produzione e distribuzione di programmi di qualità per l’infanzia.

Di fronte all’irruzione dell’economia globale nel quotidiano, le persone restano disorientate ed indifese, anche perché incapaci di leggere i problemi passando dal livello macro alla sfera delle piccole cose della realtà quotidiana. Nascono quindi chiusure e atteggiamenti reattivi di diffidenza e, al peggio, di xenofobia e razzismo verso i diversi. Nelle metropoli come nei piccoli centri, i gruppi si avvitano su di sé; e l’identificazione tendenzialmente assolutistica ed egocentrica dell’adolescente con la microfrazione territoriale di appartenenza, quando non è in grado di evolvere, pone le basi materiali dell’ideologia della “Piccola Patria”.

Oggi tutto – dal linguaggio, ai concetti, al senso – è prodotto all’interno di un quadro ideologicamente omogeneo e univoco. Nessuno spazio resta quindi, si direbbe, per il “pensiero divergente” specifico dell’animazione.

La società occidentale, con gli USA in testa, promuove lo sviluppo economico avendo come quadro di riferimento unicamente la crescita del prodotto nazionale lordo. D’altro canto dalle tigri e dai draghi d’Asia arriva la proposta di un modello economico-politico (tanto ammirato anche da businessmen e politici conservatori occidentali …) che, passando per l’affermazione dei propri valori asiatici, introduce e legittima un nuovo autoritarismo.

E’ comunque vero che, mentre negli ambienti ufficiali non è certo all’ordine del giorno il problema di ridefinire gli orizzonti dello sviluppo, recentemente si sono però manifestati i primi significativi segni dell’emergere di una società civile mondiale che incomincia a prendere l’iniziativa. Una società civile che, in occasione dei summit dei potenti del pianeta, da Seattle a Washington, ha saputo esprimere l’esigenza di un superamento dell’attuale condizionamento totalizzante che tecnica ed economia esercitano su bisogni sociali, origini, credi, natura, cioè sulla vita in termini globali.

3 Problemi di scala e di individuazione dei nuovi soggetti di cambiamento: per un’animazione socio-culturale che affermi e pratichi un prospettiva europea


Oggi, visto che i fenomeni in cui siamo coinvolti sono di origine generale, altrettanto di ampia portata devono essere la nostra riflessione e le nostre linee di azione, come pure – e perché no? – i nostri obiettivi devono essere ambiziosi.

Direi quindi che, per l’animazione, c’è per prima cosa una questione di scala: i concetti di territorio, istituzioni, sviluppo, immaginazione sociale che siamo sempre stati abituati a concepire – dal punto di vista dell’analisi e dell’intervento – unicamente a scala locale, vanno ora ripensati a scala globale. O meglio a scala “g-locale”; cioè si tratta di assumere una capacità di lettura e di operatività sui problemi che concettualizzi, analizzi ed elabori proposte al contempo su due livelli, il locale ma anche il planetario, visto che i due ambiti oramai si intrecciano (si pensi alle mode e agli stili giovanili).

La stessa questione di scala si pone per cercare di individuare chi – tramontata la “classe operaia” o almeno il mito di questa come soggetto “naturale” di cambiamento – oggi può essere l’attore interessato alla modificazione di queste logiche di sviluppo.

Penso che la prima cosa da fare sia quella di evitare la tentazione semplificatoria di una mera riedizione di vecchie logiche “terzomondiste” che – in un’esaltazione irreale di immigrati, indios, ecc. come punta di diamante della lotta alla globalizzazione – alla fine, ci deresponsabilizzano dal trovare strade politico-sociali per agire su noi stessi, sul nostro modo di vivere quotidiano, sulle scelte dei nostri centri di potere.

Nelle mature e trainanti società dell’occidente europeo è ormai presente e manifesta una convergenza di massa su una concezione “post materialistica” della vita e su una domanda non più di reddito quanto di qualità generalizzata.

A partire dal nord Europa, da un certo tempo si è scoperta l’importanza della sperimentazione di nuovi stili di vita, dove la ricerca del meglio nei rapporti, nella vita, nell’uso di oggetti – risorse – spazio e tempo, intesi anche come “l’altra faccia” di rapporti più equi con il Sud del mondo, comporta anche l’abbandono dei comportamenti consumistici. Comportamenti vecchi ma consolidati e ripetuti e che comunque nei paesi latini sembrano più difficili da smantellare, più per abitudine e ritardo di status symbol che per reale utilità.

Di fronte alla gravità e novità dei problemi collegati alla globalizzazione, ideali e tradizioni democratiche che per due secoli hanno mobilitato i popoli europei, sono messi in discussione e rischiano il fallimento.

I paesi europei impattano con la globalizzazione proprio in un momento già di per sé particolarmente delicato. Problemi come la disoccupazione, la crisi del sistema di rappresentanza politica, la crescente presenza di immigrati dal Sud con le relative tensioni nel processo di integrazione, le difficoltà nel creare nuove condizioni di sicurezza nella situazione venutasi a creare dopo il crollo del Muro di Berlino, sono fenomeni che per essere governati richiedono non solo di porre attenzione agli aspetti economico-istituzionali ed agli equilibri interni ma anche di attivare delicati percorsi culturali e politici legati ai temi dello sviluppo, della pace, della diversità.

E’ urgente la messa a tema – a tutti i livelli, dagli ambiti territoriali fino a quello delle istituzioni europee – di una identità comune, di un’anima europea, basata su valori storici e civili condivisi, su stili di vita post materialistici che ricomprendano anche la ricchezza della diversità delle culture di cui l’Europa è tradizionalmente portatrice. Valori e stili di vita che vanno proiettati e promossi in uno scenario non solo continentale ma planetario.

Paradossalmente, fra gli animatori, invece, il tema della qualità della vita (che già negli anni ’70 era il quadro di riferimento politico dell’animazione socio-culturale) nonchè – come mi è stato fatto osservare – di una vita di qualità, proprio mentre incomincia ormai a trovare consenso di massa tra i cittadini delle più mature società occidentali, non appare essere di particolare interesse, né ideale né operativo. Malgrado ciò, propongo con decisione un richiamo a questa idea-forza che deve essere almeno parte del quadro generale di riferimento del “movimento” degli animatori. Del resto tale indicazione è comunque fondamentale anche per l’area dell’animazione che interviene sul disagio, la quale, se vuole essere effettivamente capace di prevenzione e di interventi riparativi risolutivi, ha comunque bisogno di una prospettiva di “società sana”.

La situazione richiede una nuova valorizzazione dell’ideale della democrazia, intesa come processo in continua crescita e che mai può “congelarsi” oppure rinchiudersi dentro gli angusti confini dello Stato / Nazione che la globalizzazione mette in discussione ed insieme ignora.

Ecco quindi la priorità di un impegno agito nell’intento di contrastare i piani di chi intenderebbe dichiarare il fallimento della democrazia e del suo ideale, per riportare il Vecchio Continente a giocare con coraggio un ruolo decisivo nella costruzione di uno sviluppo finalizzato al benessere sociale rispettoso delle culture diverse e del patrimonio ambientale.

Chi, se non l’Europa, dunque potrebbe avere il compito dare un’anima all’ internazionalizzazione economica?

4 Aree prioritarie di intervento e strategie: formazione e comunicazione in prospettiva europea


E’ mia opinione che il “movimento” degli animatori debba darsi come comune prospettiva quella di riuscire a portare la gente, i cittadini … – ed in particolare coloro che già scelgono qualità ed equità come criterio guida dei propri comportamenti – ad identificarsi con passione e sentimento nella politica delle utopie concrete. Una politica da intendersi come campo esperienziale – di valori e di comportamenti condivisi – e che quindi si rinobilita. Un recupero necessario visto che la gestione di potere delle istituzioni e delle politiche pubbliche da parte di partiti e di lobbies ha indotto degenerazione e svuotamento rispetto ad ogni richiamo ideale nonché pure la riduzione di questa a problema di “specialisti” e “professionisti”. E tutto ciò ora – ripeto – non può che avvenire a scala europea, richiamandosi e praticando una comune cittadinanza al fine di riuscire insieme a dare un’anima ad un’Europa ancora alla ricerca della sua identità più profonda.

La ricchezza dell’Europa è da trovarsi nella sua cultura, come la debolezza del nostro continente è data invece dalla difficoltà di integrazione delle culture nazionali, ancora troppo strettamente particolaristiche. Per costruire questo arricchimento si deve transitare per un passaggio obbligato: la valorizzazione, la messa in comune e l’integrazione delle diversità. Il che vuol dire che il futuro del nostro continente si gioca soprattutto a livello di risorse umane ed anche di condivisione profonda di valori. Valori storici di libertà, solidarietà, diritti umani ai quali si sono aggiunti nuove istanze di protezione dell’ambiente e di garanzia di futuro per le nuove generazioni, attraverso la pace e la realizzazione dello sviluppo sostenibile, anche come risposta alla crisi occupazionale.

Per attuare un’integrazione europea a questo livello risulta essenziale dotarsi di incisive politiche di intervento che, insieme agli aspetti economico-strutturali, si qualifichino in quanto pongano un’adeguata attenzione sui contenuti culturali.

Per fare questo, si è detto, è necessario che il sistema formativo, in quanto ambito deputato allo sviluppo delle risorse umane, sia ripensato in questa nuova chiave e che, al tempo stesso, si possa disporre di un immaginario che veicoli questo grandioso sforzo di mobilitazione politico / sociale, connotandola simbolicamente.

In particolare si tratta quindi di chiedere e di operare perché:

1. venga reimpostata la formazione delle giovani generazioni, vedendola in tale ampia prospettiva europea.

2. si crei e venga promossa dai media un’immagine di Europa in grado di sfidare l’egemonia dei messaggi della industria culturale di massa americana.

Di contro le stesse istituzioni comunitarie sembrerebbero titubanti se non indisponibili ad assumere con determinazione questa prospettiva. In effetti lo stesso presidente della Commissione Europea, Romano Prodi, in un discorso pronunciato il 13 aprile 1999 davanti al Parlamento Europeo ha sostenuto: “La forza della cultura americana, in senso largo e come questa si esprime simbolicamente attraverso i mass media, è considerata da alcuni come possibile riferimento unitario per l’Europa alla ricerca della sua anima. Questa ipotesi non ha nulla di scandaloso”.

In un quadro incerto ed ambiguo come quello attuale è certamente necessario accelerare gli sforzi per arrivare a darsi efficaci strumenti operativi e coraggiose sperimentazioni pilota, riconoscibili a scala europea (cosa particolarmente utile e urgente per il nostro Paese, in ragione di un nostro non ancora tramontato provincialismo culturale). L’esperienza comune, che i media aiutano a far condividere e a rinforzare dal versante dell’immaginario collettivo, è da ritenersi la strada maestra per creare valori comuni e manifesti che siano guida ad uno sviluppo democratico e rispettoso delle culture diverse.

L’animazione, nel suo specifico, può dare un contributo fondamentale per individuare una metodologia adeguata di intervento, dove le valenze di concretezza dell’esperienza sia rivitalizzino i percorsi formativi e al tempo stesso diventino – attraverso l’assunzione da parte del circuito dei media – proposte emblematiche di cambiamento possibile ed anche richiesto a livello di quadro istituzionale e sociale..

5 Una formazione per il giovane europeo del XXI secolo


La transizione epocale che si è aperta verso una società basata sulla conoscenza necessita di una educazione e formazione rivolta a tutti che sia di alta qualità, non solo dal punto di vista delle conoscenze tecniche ma anche della prospettiva etica e della “intelligenza emotiva”. In realtà molto rimane da fare per superare approcci formativi unicamente centrati su una assolutizzazione di dati e descrizioni quantitative della realtà, dotandosi invece di strategie che siano in grado di sviluppare anche le capacità interpersonali e sociali.

In termini generali, si può dire che alla diffusione del sapere tecnico e delle caratteristiche del nuovo mondo del lavoro si deve affiancare anche la creazione del senso della vita e il rinnovamento della prospettiva politica

E’ quindi essenziale arrivare rapidamente a misurarci con una grande sfida che, nel contesto della globalizzazione, ci viene proposta: formare il giovane europeo del 21° secolo proiettato e lanciato nel mondo. Si tratta di definire percorsi di istruzione legati ad un impiego che dimostrino che è possibile affrontare operativamente – con professionalità e spessore etico – i nodi critici dello sviluppo sostenibile, della pace, dell’intercultura, calati in un contesto dove la natura del lavoro sta cambiando ed anche la società civile evolve a scala planetaria.

L’educazione è lo strumento fondamentale per garantire questi aspetti e l’animazione socio-culturale è la metodologia privilegiata.

Sarà importante sviluppare una fase preliminare di ricerca che renda disponibili e valorizzi le più significative esperienze realizzate a livello di società civile europea nell’ambito della pace, dell’ambiente e dell’intercultura che, dopo un percorso di valutazione e validazione, possano essere generalizzabili, ricavando quindi adeguati ed innovativi curricula educativi e formativi. In tutte queste esperienze l’animazione socioculturale, almeno in Italia, ha avuto un’importanza non secondaria e che forse è finora sfuggita ad una adeguata valorizzazione da parte degli animatori stessi.

Il mondo dell’animazione può contribuire a individuare gli elementi necessari per operare per un profondo rinnovamento della formazione della professionalità, dal punto di vista dei contenuti, dei sistemi didattici e dei metodi educativi, con una scelta di campo che privilegia la verifica e l’applicazione pratica del sapere attraverso l’esperienza diretta e la comunicazione.

La fase di intervento dovrebbe essere attivato prioritariamente a partire da quell’età critica che va dai 16 ai 19 anni, dove si crea il retroterra di esperienze e motivazioni che guideranno poi l’intera vita professionale. Il che richiederà un ampio programma di aggiornamento in servizio rivolto ai formatori che intervengono su questa fascia d’età. Utenti privilegiati dovrebbero essere quindi i docenti delle superiori e della formazione professionale.

Un’altra area rilevante è quella dell’aggiornamento di giovani professionisti di aziende e di enti locali operanti già a livello internazionale, che andranno coinvolti in corsi, stages, ricerche impostati secondo i curricola innovativi elaborati. A questi si dovrebbero aggiungere giovani responsabili di associazioni e cittadini impegnati o interessati a dare più ampio respiro all’impegno di volontariato ambientale, umanitario, interetnico.

La formazione dovrebbe privilegiare aree tematiche nuove ed emergenti, quali:

l’intervento umanitario fra rifugiati e in aree di conflitto

l’animazione comunitaria interetnica

lo sviluppo sostenibile e l’applicazione territoriale dell’Agenda 21 Locale

Tabella

PRIORITÀ PER UN PROGETTO DI FORMAZIONE DEI GIOVANI ALL’EUROPA.

dare sviluppo alla capacità di lettura critica della realtà, attraverso la discussione partecipata e facendo cogliere ai giovani, attraverso l’accoglienza nella partecipazione, il valore della “società aperta”;

educare alla comprensione e gestione della propria vita nella complessità (ambientale, tecnologica, sociale, ecc.), promuovendo a livello di giovani e di adulti una adeguata capacità di gestione dell’incertezza, basata su una sicurezza costruita sul proprio se;

realizzare un senso condiviso di identità europea tra i giovani dell’Ovest, del Centro e dell’Est dell’Europa, che si proietti verso il Mediterraneo e sul palcoscenico del mondo, formando nuove generazioni che siano capaci di influire globalmente su una cultura di democrazia planetaria;

consolidare la democrazia come valore comune ed evidenziare la ricchezza dialogo inter-culturale nell’ambito del civile, dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile, rifiutando ogni chiusura o rischio di totalitarismo che si cela nell’avversione viscerale all’incertezza e nel populismo;

promuovere di reti di cooperazione a livello della società civile di diverse nazionalità, nell’intento di rendere la società civile sempre più forte e competente, ovvero capace di promuovere interessi generalizzati in grado di influenzare e far funzionare le istituzioni della democrazia rappresentativa;

creare nuove opportunità di lavoro attraverso la creatività, in particolare rivolte ai giovani, legate allo sviluppo sostenibile e all’uso comunicativo dei nuovi media.

6 Immaginario, animazione e comunicazione


Un altro aspetto della globalizzazione è la c.d, New Economy, legata all’integrazione sempre più stretta tra nuovi media e strategie economico / finanziarie. Un effetto di queste dinamiche è l’investimento crescente in tecniche dell’informazione, che consentono una innovazione tecnologica sempre più spinta, dando la possibilità di trattare una quantità sempre crescente di informazioni e di studiare metodi sempre migliori di compressione e, per la televisione, di definizione sempre più fine dell’immagine.

Di fatto, la tecnica dell’informazione si sviluppa a scapito dell’etica dell’informazione; infatti risultano sottaciute domande fondamentali come: cosa trasmettiamo come informazione? Come bilanciare gli effetti negativi che lo strapotere della sfera del virtuale ha sulle menti di non pochi dei nostri ragazzi?

Sono convinto che proprio dall’esperienza dell’animazione possano derivare una serie di elementi in grado di produrre indicazioni e strategie concrete per orientarci in modo produttivo nella giungla prorompente rappresentata da questa tematica.

Così, per quanto riguarda le questioni poste dai due interrogativi (prescindendo comunque dal tema della limitazione temporale dell’ “esposizione” ai media e delle modalità di loro utilizzo da parte dei nostri bambini e ragazzi, qui non trattate), è mia opinione che l’animazione possa avere un ruolo rilevante sia come strategia di contro – bilanciamento educativo, come pure di azione di pressione e stimolo alla realizzazione di produzioni multimediali e di trasmissioni televisive di qualità.

Mi soffermo ora sulla questione dei contenuti dei messaggi informativo / comunicativi.

Si può constatare facilmente come prodotti multimediali e programmi televisivi dai contenuti mediocri si accompagnino ad immagini ed effetti speciali sempre più seducenti. Perché le due cose non potrebbero invece procedere e svilupparsi parallelamente? I problemi sono di costi ma anche di potere e di cultura. In realtà giornalisti, creativi e programmisti (interni ed esterni alle grandi strutture di produzione ed alle emittenti) sono incapaci di esercitare un’azione efficace sul potere e spesso non hanno “sentito” e non hanno avuto la possibilità di conoscere in profondità (e tanto meno sperimentare e condividere) nuovi contenuti emergenti come la pace, l’ambiente, l’Intercultura …

La rappresentazione mentale del problema che devono affrontare è distorta, in gran parte omologa al potere; sostanzialmente si descrivono situazioni e problemi operando una cesura tra raffigurazione estetico / formale dei contenuti arbitrariamente attribuiti agli attori e spinta emozionale e progettuale dei protagonisti (normalmente pressoché sottaciuta).

Cosa può fare concretamente il mondo dell’animazione a riguardo? Io penso che un ruolo importante può essere giocato in primis per influenzare positivamente i meccanismi attraverso i quali il mondo della comunicazione struttura e veicolare immagini e messaggi. In realtà l’animatore, per la peculiarità della suo portato professionale ed ideale, si presta ad essere una figura – ponte tra immaginazione sociale e l’immaginario massmediologico.

Dico questo sulla base di esperienze professionali, per cui dall’ambito dell’animazione mi sono trovato, in più di una occasione, ad operare anche nell’ambito della comunicazione. Mi riferisco sia all’attività di collaboratore esterno di RAI 3 Lombardia nello specifico della fase del decentramento produttivo regionale degli anni 70 / 80 come al servizio che presto come funzionario pubblico referente per la comunicazione ambientale della Regione Lombardia. In questa veste seguo oggi progetti finanziati dalla UE nell’ambito dell’istruzione a distanza tramite Internet e ho ideato un progetto di coproduzione di trasmissioni televisive europee su “giovani e sostenibilità”, attualmente in fase di realizzazione, che interessa Italia, Spagna (Catalogna) e Germania (Baviera).

In sintesi, quali sono le peculiarità come gli elementi concreti necessari per poter giocare tale ruolo di figura ponte in un contesto che, come prima dicevo, si caratterizza per la cronica povertà di idee e di esperienze significative a livello di produzione e distribuzione di prodotti multimediali come di programmi televisivi di qualità per l’infanzia?

1) In primo luogo si tratta di sapersi accreditare tra gli operatori dei media perché interlocutore credibile (magari grazie anche ad una “copertura” pubblica di un ente locale interessato a realizzare una intelligente operazione di pubbliche relazioni con i media). Ma, al di là della forma, quello che conta sarà la propria reale capacità di individuare e di indirizzarsi, nella molteplicità delle esperienze che configurano il multiverso dei mondi della vita, verso un protagonista idoneo. Ovvero un soggetto sociale che attui una ricerca originale di risposte, sia pure parziali ma comunque concrete ed efficaci, sperimentate in prima persona in un gruppo, in una situazione (quartiere, scuola, associazione, famiglia …), la cui esperienza si possa caratterizzare come “storia di un successo”. Insomma qualcuno che abbia capito che non c’è bisogno che il politico di turno – Sindaco, Ministro, ecc. – faccia un ennesima legge perché io agisca e cambi qualcosa nella mia vita al fine di produrre meno rifiuti, consumare meno energia e quindi contribuire alla riduzione dell’effetto serra, ecc.

2) Inoltre è richiesto di saper intuire ed esplicitare un approccio emotivamente carico. Ovvero il tema scelto va colto nei suoi aspetti affettivi ed emotivi specifici, facendo emergere il significato peculiare legato a queste scelte, ovvero quella che potrebbe essere definita come “l’estetica della vita quotidiana”. In tale visione la realtà interpreta sé stessa in forma di narrazione, che può assumere sia connotati realistici come piuttosto può trasfigurarsi in chiave fantastica. In tale senso, esempi significativi ci vengono da autori quali Italo Calvino e Gianni Rodari.

E non è detto che questo sia facilmente raggiungibile con i ragazzi “tecnologici” di oggi, che possono essere “scafati” sugli aspetti tecnici della comunicazione e al contempo appaiono sempre più impenetrabili nella dimensione affettiva. L’Educazione Ambientale – se reinterpretata in chiave non solo cognitiva – può risultare una grande risorsa per decondizionarsi da tale influenza e liberare una capacità di comunicazione creativa, come spiega la scheda seguente.

Scheda

L’ANIMAZIONE AMBIENTALE COME TRAINING EMOZIONALE

Emozioni unicamente vissute nel virtuale plasmano una personalità monca; incapace di reggere e promuovere relazioni reali globali. E’ quindi importante offrire ai ragazzi d’oggi un vero e proprio training che riabitui ai sentimenti veri, ad esempio una rinnovata relazione di relazione con la natura (la “wilderness” degli anglosassoni) che riabitui al senso del “meraviglioso” e del “tremendo” che questa ha sempre ispirato al genere umano. Di qui l’importanza di offrire, ad esempio, progetti di Educazione Ambientale non unicamente improntati a modalità cognitive ma anche di relazione, che si strutturino su attività di animazione che portino i nostri ragazzi a riscoprire il gusto della curiosità e del domandarsi “perché”, ad essere disponibili a farsi “penetrare” nella sfera emotiva più profonda, riacquisendo la capacità di stupirsi.

L’identità personale, per crescere equilibrata, ha bisogno di vivere il rapporto con l’ambiente e le persone anche dal lato delle emozioni, e in questo modo si partecipa ai miti e si agiscono i riti. Perché ciò avvenga, è però necessario – hanno evidenziato le ricerche di psicologia dell’ambiente – che esista un supporto materiale e una serie di molteplici stimoli visivi in grado di offrire momenti particolarmente intensi dal punto di vista emotivo.

L’esperienza dell’avventura e del viaggio / trekking inteso come rito di passaggio è uno strumento molto utile per sensibilizzare a tale dimensione e viverla creativamente. Ciò può avvenire per la felice intuizione del gruppo informale che si auto organizza per vivere nella natura momenti carichi di affettività ma talora, quando il guscio di pigrizia difensiva dell’adolescente blocca l’iniziativa autonoma, l’esperienza può essere avviata e praticata positivamente con la mediazione un adulto sensibile e capace di usare le tecniche dell’animazione ambientale.

3) Un altro aspetto è legato alla capacità di coinvolgere una più ampia cerchia di “sperimentatori”, ovvero di artisti impegnati in una ricerca estetica, sviluppata sia nella specificità dei diversi linguaggi delle arti (teatro, cinema, musica …) come sugli archetipi ispiratori della creatività artistica con i quali confrontarsi. Attraverso questo tipo di aggregazione si può ottenere una forte legittimazione pubblica, che aiuterà a far penetrare in modo più capillare nella comunità il messaggio proposto. Ad esempio – per quanto riguarda la scuola – ciò stimolerà una visione più completa del senso dell’istruzione scolastica, dove pedagogia dell’esperienza ed emozioni siano integrate in un percorso di educazione della globalità della persona che rivitalizzi l’insegnamento di discipline come l’educazione artistica.

4) Infine la dimensione del lavoro a rete e di una responsabilità che viene condivisa tra attori diversi: tra istituzioni culturali e formative (responsabili di enti pubblici, dirigenti televisivi, insegnanti e responsabili scolastici ….) attenti e capaci di creare situazione di dialogo dove, pur partendo da una differente pratica e prospettiva per ogni soggetto, tutti si converga in una comune scelta comunicativa e non di propaganda. Da questo punto di vista le istituzioni dovrebbero essere garanti della democraticità della dinamica nonché della disponibilità di risorse. In particolare si tratta di programmare e garantire un flusso stabile di investimenti in attrezzature, operatori, consulenti … tale che la rete sociale attivata possa essere in grado di produrre messaggi veicolabili nel territorio ma anche scambiati sulla grande rete globale di Internet, della TV satellite o via cavo o delle nuove forme di comunicazione che deriveranno dall’incontro di queste due tecnologie

Ma perché ritengo che l’animatore socio-culturale possa costruire, o meglio favorire il costituirsi di una dinamica di cooperazione tra immaginazione sociale e immaginario massmediologico?

Sicuramente l’animatore è colui che nel suo patrimonio di esperienza professionale ha le maggiori chances di riuscita in tale ruolo per tutta una serie di motivi che elenco.

L’animatore condivide, a livello di “saper essere”, l’opzione etica dell’”agire comunicativo” (Habermas), mettendo al bando nella pratica sociale ed istituzionale interessi strategici di potere.

A livello concreto, nella sua “carriera” ha avuto occasione di frequentare molti degli ambienti di quelli indicati; conoscendo a fondo problemi e tensioni di ciascuno, può porsi quindi in posizione privilegiata di mediazione.

L’animatore socio-culturale ha conoscenze tecniche specifiche relativamente al linguaggio del media frequentato (che ha già usato in precedenza per realizzare dei prodotti concreti), ma soprattutto sa come finalizzare la tecnica in prospettiva educativa e politica.

Vive in tensione progettuale e con propensione alla collaborazione interdisciplinare.

L’animatore sa fare i conti con i problemi concreti, che vanno dalla logistica dell’intervento, alle necessità di finanziamento e di sostegno politico del progetto.

L’animatore sa scegliere di mettersi in secondo piano affinché comunque il progetto possa realizzarsi.

Accetta e valorizza la logica dell’immagine e la specificità del mezzo televisivo, senza comunque accettare che queste snaturino l’identità del messaggio proposto dal gruppo.

7 In conclusione


Le proposte precedentemente presentate e legate alla formazione dei giovani all’Europa e all’uso animativo delle nuove tecniche della comunicazione, si richiamano comunque alla necessità di una pratica sociale che agisca per progetti ma che abbia anche un’attenzione al quadro generale, ponendo quindi – in prospettiva – l’esigenza di una riformulazione del sistema formativo e del mondo della comunicazione.

Per essere efficaci, abbiamo bisogno in primis di proposte che si rivolgano alle istituzioni ma che comunque si appoggino su una base culturale solida e socialmente condivisa. Una base dalle quale possa provenire e manifestarsi un vero e proprio movimento o gruppo di pressione.

Cito come esempio di una mobilitazione intrapresa all’interno di un approccio del genere ’azione che duecento cittadini di 7 diversi paesi europei hanno intrapreso formalmente nei confronti del Parlamento Europeo al momento dell’esplodere della crisi del Kosovo, utilizzando lo strumento della petizione (la 409/99 che il Parlamento ha poi deciso di accogliere). Tale documento propone all’Unione Europea di dotarsi di una base legale e di un budget per predisporre un suo programma di azione per la creazione di una cultura di pace, sostenendo il processo sperimentale di promozione dell’educazione alla pace in atto a livello di società civile in Europa e sviluppando attraverso i media una chiara coscienza di pace. E ciò anche come contributo da parte del “vecchio continente” per l’avvio della “Decade per la cultura di pace e nonviolenza per i bambini del mondo” (2001 / 2010) proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

I compiti che come animatori abbiamo da compiere sono grandi ed ambiziosi, e, per svolgerli, il movimento dell’animazione ha bisogno con urgenza di darsi modalità di autoriconoscimento per superare insieme i limiti oggi presenti.

L’assenza di uno spazio pubblico dell’animazione (e forse anche di persone capaci di mettersi a servizio di un progetto del genere), comporta l’impossibilità attuale di fare assieme una nuova sintesi metodologica dell’animazione dell’inizio del 21° secolo. Tuttavia l’esigenza di arrivare a questa nuova sintesi permane ed il percorso, ancorché non semplice e breve, è anche fattibile; tale unificazione metodologica dovrebbe avvenire a partire dalla valorizzazione degli interventi più recenti effettuati su aree di bisogno emergenti, come ad esempio i conflitti etnici (che, in un contesto sempre più globalizzato, in realtà non si sopiscono ma anzi sembrano diventare ancora più attuali e dirompenti). Ad esempio, sarà importante impegnarsi per evitare che il patrimonio di esperienze di animazione realizzato nei campi profughi con i bambini della ex-Jugoslavia vada disperso ….

Ecco quindi la necessità che, rispetto ai contenuti forti posti a premessa di questa giornata nonché degli altri aspetti legati alla globalizzazione che qui ho cercato di approfondire, si mantenga aperta una riflessione a 360° ed uno spazio pubblico dove si possano incontrare progetti, sperimentazioni, esperienze che tentino di mantenere alta quella tensione elaborativa e di ricerca che talora, sotto il fardello organizzativo della gestione quotidiana di servizi da mantenere economicamente produttivi, si tende a rimuovere o trascurare.

La proposta è quindi la costituzione di una conferenza permanente dell’animazione, con un meeting pubblico annuale di confronto e discussione.

Da tutto ciò deriva come necessità primaria per il “movimento degli animatori” il ribadire (o il ritornare?) ad una visione “polivalente” ed europea della figura professionale, che non si limiti al tema del disagio ma consideri globalmente il tema prevenzione = qualità della vita. Questa visione deve ispirare un curricolo formativo dell’animatore che non sia squilibrato o unidirezionale – come appare ora – e che piuttosto deve essere integrato, sapendo connettere vari aspetti, come i temi della pace, dell’intercultura, dell’ambiente, dello sviluppo sostenibile, ad esempio.

Anche i campi di intervento, conseguentemente, non potranno essere che ampi e diversificati. Da questo punto di vista, si tratta infine di non eludere ma di porsi ancora il problema della scuola, dove oggi la gran parte dei docenti si è rifugiata in schemi di apprendimento fini a sé stesso e non legati a progetti di crescita e sviluppo personale e comunitario, che gli animatori di oggi (diversamente dall’ “animazione delle origini”) sembrano pensare di poter proporre e attuare solo nell’extra-scuola.

Roberto Albanese

http://www.greenman.it

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