luglio 30, 2014
Salviamo l’uomo dei boschi della Valle del Lambro
Salviamo gli Uomini Verdi della valle del Lambro
di Roberto Albanese
Una figura archetipo legata al rapporto uomo – natura, vista nelle narrazioni della cultura tradizionale popolare e nelle rappresentazioni artistiche, con particolare attenzione al territorio di Monza e Brianza. Un itinerario nella valle del Lambro seguendo le tracce incerte lasciate dall’Uomo Verde.
Indice:
simbologie dell’ecologia
chi e cos’è l’Uomo Verde
la letteratura
i luoghi
l’arte
nella valle del Lambro
le sculture lignee del “Cimiterino” del Duomo di Monza
un approfondimento sul “Cimiterino”
Per dare un’efficace visualizzazione del concetto di ecosistema inteso come organismo unitario vivente, James Lovelock ha riproposto l’antica simbologia della Madre Terra, da lui definita “ipotesi Gaia”. In realtà il repertorio dell’immaginario mitico considera anche un’altra figura che stimola al rispetto nei confronti del nostro pianeta.: quella del c.d. Uomo Verde, altrimenti detto Uomo Selvatico o Uomo dei Boschi. Questo intervento vuole dimostrare come questa immagine sia presente a livello del patrimonio artistico locale, ancorché purtroppo poco conosciuto e, come si vedrà, a rischio di grave degrado.
L’Uomo Verde è il primitivo modello mitologico dell’essere silvestre, modello comune praticamente a tutte le culture etniche. Amico-nemico, divinizzato possessore di facoltà negate all’uomo comune. Saggio del bosco, al quale va portato rispetto, perché sacro. Nella nostra cultura tradizionale rappresenta l’anello di congiungimento fra umani e natura ed assolve alla funzione pedagogica di introdurre ad un positivo rapporto con l’ambiente. Ci può svelare i suoi segreti, insegnando come ricavare dalla natura di che vivere senza distruggerla; è in fondo un antesignano di quello che oggi viene detto sviluppo sostenibile.
Le storie popolari raccontano che spesso l’Uomo Selvatico non è capito dagli umani; così da amico può diventare un perseguitato a sua volta aggressivo verso gli uomini. Alcuni studiosi vedono in lui una metafora della naturalità, che emerge nei suoi contenuti istintuali, affettivi ed anche erotici, ambivalenti e comunque della necessità di unità profonda tra mente e natura. E’ un personaggio / archetipo che compare nella letteratura, da quella medievale fino alla narrativa contemporanea, dal Tarzan di Burroughs, a Tom Bombadil del Signore degli Anelli di Tolkien, al Barone Rampante di Calvino.
La sua immagine è comunque strettamente legata alla identità dei luoghi, ed in particolare alla presenza di boschi e foreste; il rapporto è talmente stretto che, narrano alcuni racconti popolari, quando le foreste furono abbattute l’Uomo Verde scomparve e non si vide mai più. Questo, in realtà, possiamo dire, è quanto successo anche in Brianza; in effetti, finora nella nostra ricerca non siamo riusciti a trovarne traccia a livello di fiabe e racconti (invece questi compare degnamente nel repertorio dei fratelli Grimm).
Ma altri indizi sembrano invece indicare che, almeno un tempo, questo archetipo fosse presente e ben vivo anche nella cultura del nostro territorio; il motivo dell’Uomo Verde è infatti ben rappresentato nel repertorio iconografico a livello di patrimonio artistico locale, che possiamo sicuramente definire “minore”, ma non per questo non significativo. L’immagine di un volto umano che assume caratteri animaleschi o tratti vegetali (che gli studiosi anglosassoni hanno appunto definito Green Man) compare, scolpito in antiche pietre o nel legno, in diverse situazioni distribuite su tutta la valle del Lambro.
Ricordiamole velocemente.
Green Man compare a Monza, nel “cimiterino” settecentesco attiguo alla torre campanaria del Duomo (di cui si dirà più avanti), sulla facciata di S.Mariain Strada, tra i resti del castello di Trezzo utilizzati per costruire le strutture romantiche attigue alla Torretta della Villa Reale. A Sovico (prima foto sulla sinistra) sui basamenti della recinzione di Villa Rossi-Martini, a Carate a ornamento di alcuni getti d’acqua presso le grotte di Realdino e, soprattutto, in due altri pregevoli monumenti. Ad Inverigo, presso il santuario di Santa Maria della Noce, Green Man appare infatti nel portone ligneo della chiesa (vedi foto a lato sulla sinistra) mentre a Civate, nella splendida basilica romanica di S.Pietro al Monte, fa invece capolino tra i bassorilievi che arricchiscono questo gioiello architettonico.
E questo, probabilmente, è solo un campione di una realtà più ampia ancora da indagare in profondità.
Un patrimonio certamente non sconosciuto ma purtroppo in gran parte trascurato e che per questo, in alcuni casi, versa in grave degrado. Il caso più eclatante è dato dalle condizioni nelle quali si trovano le trentatré sculture in legno delle travi che coprono il “cimiterino” settecentesco attiguo alla torre campanaria del Duomo di Monza (vedi foto a sinistra). Possibile che il loro destino sia quello di marcire, come già sta avvenendo per gli assi che poggiano sulle travi? Ci si augura che il programma di ristrutturazione del Museo del Duomo di Monza in fase di attuazione non trascuri di intervenire ai fini del necessario restauro.
Dunque un ennesimo caso conferma il fatto che in Brianza, per un malinteso senso della modernità e del primato dell’utile economico, si continua ad ignorare che persona e ambiente, uomo e bellezze artistiche e naturali si legano in un destino comune. E’ importante invece proteggere gli ultimi Uomini Verde della valle del Lambro perché ciò significa insieme conservare il nostro patrimonio artistico e al tempo stesso tenere vivo un profondo messaggio etico: salvaguardare la natura significa salvare noi stessi.
Nella foto sulla sinistra da ingrandire è documentato il degrado delle sculture lignee di Green Man nel “Cimiterino” del Duomo di Monza
PER APPROFONDIRE LA STORIA DEL “CIMITERINO” DEL DUOMO DI MONZA
All’attuale chiostro del “cimiterino” corrispondeva anticamente un quadriportico che è possibile precedesse l’antica facciata della basilica teodolindea, nella parte orientale del Duomo. Questo luogo era un tempo il cuore della vita civica del borgo medievale, dove si tenevano le assemblee pubbliche e si intessevano importanti relazioni economiche. Così restò fino al 1300, quando la “cortina” (così veniva chiamata questa struttura architettonica) venne inglobata nel rinnovato complesso architettonico del Duomo, e le funzioni civiche vennero assunte dalla “nuovo” Arengario.
Di questa però successivamente restò ben poca cosa; è possibile che su questa struttura si sia intervenuti durante gli altri rimaneggiamenti che il Duomo subì nel ‘500 in occasione della costruzione della torre campanaria e nel ‘700, in seguito ad un incendio. In particolare è proprio al periodo settecentesco che viene fatta risalire la struttura attuale nel suo complesso, che conservò qualche elemento delle antiche mura medievali. Allo stesso periodo dovrebbero quindi appartenere anche le sculture in legno presenti (anche se non è da escludere che, iconograficamente, si siano ripresi precedenti antichi motivi decorativi gotici).
Bibliografia minima sul “Cimiterino”
A. MERATI, Il Duomo di Monza e il suo Tesoro, Monza, 1982 (edizione riveduta e ampliata della pubblicazione del 1962, Storia architettonica del Duomo di Monza), p.205
ROBERTO CASSANELLI (a cura di), Monza Anno 1300 – Nuove prospettive per la storia edilizia del Duomo di Monza, in ROBERTO CASSANELLI (a cura di), Monza Anno 1300, La basilica di S.Giovanni Battista e la sua facciata – Amilcare Pizzi SpA arti grafiche, Cinisello Balsamo (Mi), 1988. pp.34-35.