settembre 23, 2009
Giovani e diversità
Identità giovanile e diversità: quale ruolo per la scuola?
Ipotesi sulla relazione dell’adolescente con la dimensione del gruppo e del territorio, mediata dalla dimensione dell’immaginario. Il confronto con il tema del diverso. Il ruolo ponte che la scuola può assolvere per favorire l’incontro tra diversità.
Indice:
- Una dimensione strettamente individuale nella ricerca di identità dei giovani europei? X
- Comunità d’emozioni e territorio: i gruppi informali
- Immaginario e ambiente
- Il gruppo e il diverso da se
- Il tema dello straniero e dell’alterità
- Strategie sociali ed educazione: il ruolo della scuola
- Bibliografia
Una dimensione strettamente individuale nella ricerca di identità dei giovani europei?
I giovani oggi si trovano a ricercare la propria identità e a individuare il proprio ruolo all’interno di un contesto di società complessa che, in quanto tale, si caratterizza per incertezza, discontinuità, frammentazione. La costruzione dell’identità avviene quindi non più con il riferimento a contesti generali (istituzioni, partiti …) ma ad una serie di relazioni personali molteplici, sperimentate nella quotidianità attraverso l’esperienza diretta. Alcuni sociologi hanno espresso il convincimento che, nei contesti destrutturati che caratterizzano oggi l’Europa, la costruzione dell’identità si caratterizzi in chiave strettamente individuale, basandosi sull’autonomia personale e sullo sforzo dei giovani di essere sé stessi, a partire dalla realizzazione delle personali inclinazioni (TELLIA).
Comunità d’emozioni e territorio: i gruppi informali
Nella città contemporanea, luogo di solitudine e di anonimato, si manifestano anticorpi e strategie sociali di sopravvivenza nei confronti della generale omologazione e dispersione individualistica. Strategie immediate e spontanee che vedono i giovani in prima linea in questa sperimentazione creativa. Così alle analisi catastrofiste che pensa a “deserti urbani” è più realistico sostituire altre interpretazioni, del resto sostenute anche da ricerche sul campo, per le quali “la città è una successione di territori dove la gente, in modo più o meno effimero si radica, si raccoglie, cerca riparo e sicurezza” (MAFFESOLI). Questa rivalorizzazione dello spazio, del localismo si correla alla diffusione di nuovi ambiti di socialità, che si qualificano come insiemi più ristretti e circoscritti rispetto alle tradizionali forme di aggregazione (parrocchia, strutture di partito e sindacali, ecc.).
La spazialità urbana risulta oggi tendenzialmente segnata e attraversata da una pluralità di micro-gruppi, giovanili ma non solo, che si costituiscono:
- a partire dal sentimento di appartenenza;
- in funzione di un’etica specifica;
- nel quadro di un reticolo di comunicazione.
Relazionandosi allo spazio, il gruppo delimita il suo territorio e rafforza la propria esistenza, ponendo una stretta relazione tra territorio e memoria collettiva. Infatti i gruppi “disegnano, in qualche modo, la loro forma sul suolo e ritrovano i loro ricordi collettivi nel quadro spaziale così definito” (HALBWACHS).
Immaginario e ambiente
In questo quadro assistiamo anche ad un parallelo ritorno in scena dell’immagine, nelle sue diverse modalità, che ritorna ad essere centro di un ordine simbolico complesso ma concreto, dove ognuno ha un ruolo. Spazio-territorio-ambiente e simbolo-immagine convergono in una mescolanza inestricabile, definendosi come duplice polarità sulla base della quale quali i gruppi si identificano, costituendo una profonda fusione dell’individuo nel gruppo a livello simbolico/affettivo.
Il gruppo e il diverso da se
Ogni aggregazione ha un mito, ovvero una storia che ogni gruppo si racconta, e si costruisce un proprio rituale. Ovvero un meccanismo, basato sulla reiterazione di comportamenti ripetitivi e di attenzione alle piccole cose e al minuscolo, attraverso il quale si sente di partecipare allo spirito collettivo, alleviando quindi ansie e angosce esistenziali.Ma questi gruppi, nota Maffesoli, accentuando ciò che è vicino (persone o luoghi), tendono a chiudersi su di sé.
La fedeltà al gruppo e il dovere di aiuto reciproco induce all’esclusivismo e, in certi casi estremi (quando la debolezza produce chiusura su se stessi e aggressività, come nel caso di alcune bande giovanili) alla violenza nei confronti di altri gruppi considerati antagonisti o semplicemente disturbanti, nonché all’emarginazione se non eliminazione di questi. Fra questi normalmente rientrano gli stranieri immigrati, i nomadi, i barboni …
Il tema dello straniero e dell’alterità
Oggi, in tutta l’Europa, assistiamo all’intrusione dello “straniero”, o, più in generale, dell’Alterità, che si inserisce, con il ruolo del Terzo, nel rapporto – finora bilaterale – Individuo-Stato. “L’intrusione dell’estraneità – osserva Michel Maffesoli – può fungere da anamnesi: ricorda ad un corpo sociale che tendeva a dimenticarsene come esso sia strutturalmente eterogeneo; anche se per facilità aveva mostrato una tendenza a ricondurre tutto all’unità” (p.151).
In realtà il principio vitale di ogni realtà è nella molteplicità e la coesione sociale più che come unità, va vista invece come unicità, ovvero aggiustamento di elementi diversi.Il tema della diversità quindi può essere assunto come “filo rosso” per rivisitare la storia generale e le storie specifiche dei vari territori. Una comunità può quindi interrogarsi sulla capacità ereditata dal passato di giostrarsi tra separazione e apertura, radicamento e cosmopolitismo, perché è nella capacità di riuscire ad alternare e a bilanciare questi due antagonismi, ambedue essenziali, che una comunità può evolvere e crescere creativamente.
Strategie sociali ed educazione: il ruolo della scuola
Una strategia finalizzata ad amalgamare le diversità, raggiungendo un equilibrio che si basi sull’eterogeneo, dovrebbe prevedere:
il riconoscimento delle diversità e il manifestarsi dei vari sentimenti di appartenenza;
il riconoscimento delle diversità e il manifestarsi dei vari sentimenti di appartenenza;
la ritualizzazione dell’atmosfera conflittuale da essi indotta;
un aggiustamento specifico contrattato tra i gruppi o una sintesi ancora più alta, basata su sentimenti comuni, dalla quale far emergere creazioni originali.
Ma questa strategia di regolazione esige la presenza di un “terzo” che, facendo da intermediario, riequilibri l’insieme dato. Riprendendo il linguaggio immaginifico del sociologo Simmel, si potrebbe proporre la metafora del “ponte e della porta”, ovvero di ciò che congiunge e ciò che separa.La scuola, in quanto istituzione e comunità educativa, può giocare questo ruolo tra il vecchio e il nuovo in questa ineludibile transizione che vediamo svilupparsi – in forme specifiche a luoghi, storie e culture – in ogni territorio.
Si tratta di concepire la scuola come:
potenziale parte in causa che sappia affrontare le emergenze e il conflitto fra le parti nel ruolo di mediatore. Prepararsi a questa eventualità significa conoscere i soggetti in campo, studiare i conflitti latenti, simularne l’esplodere in scontro e le possibili strategie di risposta.
Specchio del mondo esterno, ovvero ambito dove la realtà del territorio è già rappresentata. Ciò vuol dire concepirsi come luogo dove è necessario sperimentare una armonia nella diversità, evitando ogni furore (che del resto è sicuramente controproducente …) unidirezionale nel quale talora ricadono i fautori del “politicamente corretto”.
In ciascuno di questi casi, un atteggiamento di ricerca e sperimentazione è fondamentale e l’animazione risulta essere una essenziale metodologia di lavoro.
Bibliografia
MICHEL MAFFESOLI, Il tempo delle tribù, Armando Editore, Roma, 1988.
KAJ NOSCHIS, La signification affective du quartier, Libraries des Méridiens, Paris, 1983.
L’identità giovanile tra società, stato, nazione ed etnia, atti dei convegni di Alpe Adria di Gorizia – Nova Gorica del 16-17 settembre 1994 e di Milano del 20-21 novembre 1992, Edizioni LINT, Trieste, 1995.